domenica 30 marzo 2008

Salvatore (Enzo) Gancitano



Riceviamo e pubblichiamo una lirica di Enzo Gancitano, che, ad onor del vero, conoscevamo come stimato autore di prosa. I suoi numerosi libri su Mazara del Vallo, sono ormai una pietra miliare nell'ambito della scarna letteratura che si occupa della nostra storia patria e questa sua verve poetica, che per la prima volta abbiamo l'occasione di apprezzare, é un fiume in piena che tracima pathos da ogni dove. E' un inno straziante al dolore che viene a suggellare, ove ce ne fosse bisogno, un amore sviscerato per la propria terra e per le sue martoriate genti. Ringraziamo l'autore per questo contributo e auguriamo ad esso i riconoscimenti e gli apprezzamenti che merita.

Io conosco questa città

Io conosco le antiche strade della città
che sanno dell’acre gusto delle memorie
dell’effluvio del tempo della vita e della morte
della lotta alla vita e della resa alla sorte.

Io conosco il mesto sorriso delle genti del Mazaro
il pasto di lagrime salate delle donne in attesa dei loro morti,
le grida laceranti (e non sentite) delle spose per gli uomini
che immoti giacciono coperti di acque saline.

Io conosco il singhiozzo di bimbi atterriti,
attaccati alle vesti di madri inconsolate
le parole, le promesse come sassi scagliati
sui visi di quei bimbi, sui volti delle madri.

Io conosco le mute processioni di popolo
dietro bare, troppe bare,
che sanno di sudore, di sale, di sangue,
di ingiustizia e di muti lamenti.

Io conosco la statua lapidea di San Vito a mare
poggiata sulla roccia e sull’acqua,
che dispensa lo sguardo, il braccio protettore e
congiunge le sue lagrime al mare per i figli non tornati.

Io conosco le marrobbiate del fiume spiritato
le barche ribaltate e frantumate,
i moli infangati, l'esalazioni di acque arrabbiate,
le facce disperate, dei pescatori, senza pianto.

Io conosco le chiese di questa città
che sanno d'incenso, di mani sul petto,
di voci ormai spente, di riso e gemito,
di passi dubbiosi e di gravi rimorsi.

Io conosco le draunare piratesche che assaltanole
gracili paranze levandole al cielo e scagliandole nel fondo
del mare gelido, sepolcro di pace, alfine, per gli umili
dai piedi nudi, amara conclusione di un'esistenza senza sorrisi.

Io conosco il rumore dei treni in partenza, gli abbracci
disperati e di speranza, i sinuosi e vetusti vicoli della Pilazza,
il ghetto ebraico dalle basse case annichilite dal silenzio,
il suono del tamburo alla ricerca dei piccoli smarriti.

Io conosco le urla gioiose dei bimbi sulle spalle paterne all’Aurora,
incontro tra la Madre addolorata e il Figlio resuscitato,le folle
mattutine incedere serene al tempio a mare del martire San Vito, i
fuochi d’artificio a digiuno, precario oblio delle quotidiane ambasce.


Io conosco i virgulti della città, non i figli dei nostri figli
nati in terra italica o in lande sperdute e mai più
tornati a scrutare i sussulti del Mazaro e a tergere
le castigate lagrime di sabbia rossa portata dal Ghibli.

Io conosco le strade, le piazze, il lungomare, il fiume, le chiese,
i palazzi, la gente, l’indifferenza, i lamenti, la collera abortita,
i soprusi, le cose non fatte, il dolore del distacco senza ritorno,
la povertà, la nostalgia, l’abbandono nelle lagrime non fluite.

Io conosco queta città
                                                 Enzo Gancitano




Composizione poetica di Enzo Gancitano
Africa del nord, XI secolo. Ibn Rasiq è il poeta preferito, tra i cento presenti alla corte del principe Al Mu’izz a Qaraiwan, capitale dell’Ifriqiya, avendo preso il posto dell’altro poeta rivale Ibn Safar. Dopo alcuni anni, le guerre interne con i Berberi e i nomadi Arabi, inducono Rasiq a vincere la sua avversione ai viaggi in mare per raggiungere la tranquilla Mazara, dove è ospitato con grandi onori nella reggia del principe Mankut, signore di Mazara, Trapani, Marsala e Sciacca. Qui, il principe lo riappacifica con Ibn Safar che aveva raggiunto la corte anni prima. Ma, pochi anni dopo, subentrano le guerre civili spingendo i due poeti a considerare l’invito dei principi Banu Abbad a recarsi nella reggia di Siviglia. Ibn Rasiq è titubante per il timore delle onde del mare, Ibn Safar parte. Dopo qualche tempo, seduto su uno scoglio alla foce del Màzaro, Ibn Rasiq scruta il mare…



Ho chiesto alla terra

Al fievole ritmico sciabordio della risacca
lo sguardo si smarrisce all’orizzonte,
a sud la terra insanguinata dell’infanzia,
la gloria nella reggia di Qairawan (1),
ad occaso gli ospitali Banu Abbad (2) di Siviglia
qua l’olezzante terra del Màzaro,
l’accoglienza munifica del principe Mankut (3).
Ma quando, quando cesserà il sangue dei fanciulli
ignari, il fragore della morte, il grido di dolore,
la disperazione delle madri, l’odio insensato
tra gli infedeli Rum (4) e gli smaniosi Islamici ?
Quando regnerà la quiete, il silenzio senza la paura,
la gaiezza dei bimbi per le strade arrossate dal vento del sud,
quando gli aedi torneranno a declamare le lodi alla
saggezza del principe Al Mu’izz (5), mecenate di cento poeti ?
I cerchi di sole sul mare riportano l’immagine reclusa
del kuttab (6) infantile a Msila (7 )con il dischiuso Corano,
degli inflessibili sheikh (8) a Qairawan, dello studio dell’hadith (9)
delle riunioni nei maglis (10), del talento per la poesia,
della fatica del padre orafo, del rossore della timidezza,
del rumore delle battaglie, della fuga nella dotta Mazara.
Oh, questa avversione per il mare, questo timore delle onde
mentre la mansueta Siviglia attende di concedere
onori, elogi, gloria e ricchezza !
Kana (11), Kana, c’era una volta la pace nel giardino
del Mediterraneo, nell’accogliente reggia di Mazara,
ma il Ghibli ha disotterrato le armi e le armi
hanno annientato il profumo di arancio e gelsomino
e la musa langue e latita e lo sciabordio
alla foce del Mazaro perdura, mentre l’amico poeta
Ibn Safar, un dì rivale nell’opulenta corte di Qairawan,
riscuote encomio e lode nella lussuosa reggia dei Banu Abbad.
Le navi provenienti dalla terra del cuore approdano sicure
lungo le rive del fiume spiritato ma non riescono a fugare
l’angoscia del fluttuante scorrere sul mare burrascoso,
non riescono a dare l’ardimento per un viaggio
verso la quieta costa andalusa.
Oh, Signori del potere e della guerra, della vita e della morte
dei demoni infedeli e dei giusti di ogni credo, fate che cessi
il pianto dei fanciulli e torni il canto degli uccelli,
l’odore delle zagare, il trionfo della poesia e della conciliazione.
Il mio nome è Abu Alì Hasan Ibn Rasiq. Fui gloria letteraria
nel mondo arabo per concessione di Dio benigno.
Lasciai le mortali reliquie nel 1064 o, labile è la memoria, nel 1071.
Mi fu concesso di non assistere l’anno dopo all’aggressione
dei barbari Normanni. Le mie spoglie giacciono sperdute
nella città del Màzaro davanti alla costa orientale del mare africano
i cui effluvi lambiscono la vetusta terra che mi ricopre
e, invano, chiede la prece di una persona cara.
“Ho chiesto alla terra perché era luogo di preghiera
e perché era per noi un luogo che rende puri e buoni.
Rispose senza parlare, perché ho accolto
per ognuno una persona cara” (12).




Note esplicative
1 Qairawan= capitale dell’Ifriqiya, nord Africa
2
Banu Abbad= sultani di Siviglia
3
Mankut=principe di Mazara, Marsala,Trapani e Sciacca
4
Rum=Bizantini, gli stranieri
5
Al Mu’izz=principe di Qairavan
6
Kuttab=sede dell’istruzione primaria
7
Msila=città natia di Ibn Rasiq
8
Sheihk=insegnanti esperti in grammatica, lingua, diritto, scienza delle tradizioni
9
Hadith=studio della religione islamica
10
Maglis=luoghi di riunione degli studenti
11
Kana=c’era una volta
12
Manoscritto n. 18330 di Ibn Rasiq
nella Biblioteque Nationale, Suq al-Attarin di Tunisi

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