mercoledì 15 giugno 2011

La fabbrica del ghiaccio artificiale

La prima "machina di ghiacciu" fu realizzata da Ferdinando Mandina, che dopo qualche tempo la cedette a Stefano Vaccara, che l'utilizzava per le sue attività commerciali (agricole, marinare e conserviere) in via Verona; direttore della fabbrica fu Salvatore Ditta. In seguito fu trasformata in Cooperativa provinciale. Oggi in totale abbandono è famosa solo per la grande quantità di amianto dispersa nel suo interno. Ricordo vi lavorarono Giuseppe Pinta (lu zu Pippinu), Nicola Bianco (addetto alle macchine), Nino Basone (operaio) e per un certo periodo il direttore fu il dr Salvatore Ditta.
Io ne ricordo altre tra cui: quella del sig. Quinci (Bagaruni) in via ten. Gaspare Romano. Quella del palermitano Costamante all'angolo tra la via Luigi Vaccara e via Emanuele Sansone (dove oggi sorge la Banca coop. Don Rizzo) in seguito acquistata dall'armatore Nicola Asaro (Cardedda), che gestiva assieme ai figli, e quella in fondo alla via Luigi Vaccara dei fratelli Asaro (Batarollo).


Fabbricare del buon ghiaccio non era semplice: esso doveva essere compatto e poco fragile, cristallino e non opaco. Il prezzo, infatti, variava in base alla qualità prodotta. Innanzitutto era importante la qualità delle acque utilizzate, le quali potevano contenere sali che contribuivano a determinare un rallentamento della congelazione (sali di sodio e di potassio), fragilità (bicarbonato di sodio), opacità (solfato di sodio), aspetto gelatinoso (ossidi di silicio ed alluminio), colorazione rosa (ossidi di ferro) o giallo fangoso (sostanze organiche). Per questo la migliore materia prima è stata sempre la neve (che da noi non c'era) e l'acqua depurata dai sali in eccesso o distillata.
Importante era poi la fase di congelamento, bisognava procedere dalla parte esterna a quella interna, la diversa temperatura nei singoli strati determinava dilatazioni differenziate che producevano tensioni e talvolta fenditure. Era quindi necessaria un'uniforme distribuzione del freddo e la gradualità dell'abbassamento della temperatura, oltre l'agitazione dell'acqua per eliminare l'aria, principale responsabile dell'opacità. Delicata era anche l'estrazione ed il trasporto dei blocchi di ghiaccio, in quanto il passaggio repentino ad una temperatura più alta provoca rotture tra strati esterni ed interni.


Il ghiaccio veniva distribuito a lastre o triturato a secondo la richiesta e l'uso a cui era destinato.

*** ***
Nel 1947, il sig. Tommaso Guida, mette su una fabbrica di ghiaccio denominata "San Giuseppe", ubicata nella via Selinunte 38, che riesce a dare un notevole contributo alla nostra marineria, dando anche, opportunità di lavoro a diversi operai.
La sede della fabbrica, con annessa abitazione al piano superiore. La porta adiacente al primo camion introduceva alla officina meccanica, quella vicino al secondo camion era l'ingresso della fabbrica

Tommaso Guida col figlio Lino 
Compressore modificato dal cav.Tommaso (a circolazione d'acqua)

Presso questo opificio, grazie alla sua grande competenza, si formano diversi allievi che apprendono le tecniche degli impianti frigoriferi e che in seguito si distingueranno come bravi operatori specializzati. Negli anni Cinquanta fa conseguire, a tutti i figli, l'attestato di tecnico addetto al controllo della combustione, per essere in regola con le vigenti normative.

Questa è l'attestato conseguito al corso teorico-pratico


1 commento:

  1. Siamo nel secolo scorso nel periodo della fine della seconda guerra mondiale, quindi nel decennio a cavallo tra gli anni quaranta e cinquanta. L’Amministrazione comunale finalmente, promulga la delibera per l’attuazione del progetto di rifacimento della via Molo Caito, mettendolo in sicurezza, con la costruzione della nuova banchina sul mare e il rifacimento del fondo stradale sterrato, ormai ridotto ai minimi termini. Sul lungomare Mazzini insistevano i binari della linea ferrata che collegavano la stazione centrale alla parte estrema della banchina ad incrociarsi con la via molo Caito (lu purtrddru). In tempo di guerra era il luogo destinato al posizionamento di un cannone su ruote ferrate, a presidio di difesa del paese “Mazzara”, così in caso di attacco navale o aereo del nemico, grazie alla sua mobilità, avrebbe dovuto essere un baluardo efficace. Il passaggio dei binari, separava il fondo stradale in due corsie, e i vagoni ferroviari che transitavano, alla fine della II* guerra mondiale, venivano utilizzati per il trasporto di prodotti ittici pescati, provenienti dalle stive dei motopescherecci attraccati al molo, in attesa di essere spediti nei vari mercati ittici del nord. I vagoni utilizzati fungevano come una specie di frigorifero, o per meglio dire ghiacciaia, e i pesci nelle cassette in legno depositate, dovevano trascorrere più dí ventiquattr’ore prima di giungere a destinazione, ed essere distribuiti, nei mercati ittici del nord. Quindi era necessario riempire gli appositi scomparti con lastre di ghiaccio per mantenere il più allungo possibile una temperatura fredda all’interno del vagone stesso. La macchina di ghiaccio che lo produceva e vendeva il prodotto ghiaccio, non era molto distante da dove veniva caricato, perché vicino piazzetta dello scalo, luogo privilegiato per “scapuzzare l’ammaru”. I carretti che trasportavano le lastre di ghiaccio, avendo impedito il transito sulla molo comandante Caito, perché dissestata e in pieno rifacimento, quindi percorrevano il basolato sconnesso della via San Giovanni nei due sensi. Immaginate il caos che di notte si creava, perché il pagamento del trasporto ai carrettieri veniva conteggiato con il numero dei viaggi …………….
    Biagio Hopps

    RispondiElimina