venerdì 15 febbraio 2008

Francesca Incandela

Docente di lettere moderne, è scrittrice e poetessa. Impegnata profondamente nel sociale è, anche, presidentessa dell'Associazione Antiracket, con sede presso il Museo della Legalità, in via Giotto.
Francesca Incandela

QUESTA CITTÀ
dedicata a Mazara del Vallo 

Questa città nei suoi teneri incanti
ha scandito le mie stagioni.
Qui la terra si adagia
sul manto azzurro del mare.
Per me è stata
culla e nido
grembo e anfratto.
Lontano l’orizzonte
abbraccia altre sponde
e raccoglie l’alito
del sabbioso scirocco
del gelsomino africano
del giallo dei limoni cedrati.
Lento e pigro un fiume l’attraversa
e tra gli alti canneti risuona
il tamburo dell’araldo normanno
il richiamo del muezzin
il clamore del mercato.
Guglie e torri si stagliano
sul cielo terso e luminoso
sui borghi in collina
sulle distese d’arenile
sulla scogliera di timo.
Persino sulla tua terrazza.
Questa città nei suoi remoti incanti
sarà la mia ultima dimora.
È stata l’alba e la sorgente
la rocca e la battgia.
Mi guarda nell’esistere
e mi accoglierà nel suo abbraccio.
Quando sul greto del fiume
per pudore
per amore
per paura
abbandonerò la disperazione dei poeti.

Francesca Incandela

mercoledì 13 febbraio 2008

Giacomo Sciuto

Nasce a Mazara del Vallo il 1° gennaio 1947 e risiede dal 1971 a Castiglione del Lago in provincia di Perugia. Sposato, tre figli, cinque nipoti, attualmente in pensione. Ha insegnato per 35 anni all’Istituto Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato di Castiglione del Lago, dove ha ricoperto, per un lungo periodo, il ruolo di direttore e responsabile di sede. Coltiva alcuni hobby tra i quali la culinaria, il restauro di mobili antichi, il disegno a china. Si diletta, anche, nello scrivere (li chiama i miei scritti). È alla prima esperienza letteraria con il libro di poesie Iter in tanti passi. 


Si legge nella Presentazione: La poesia di Giacomo Sciuto conduce il lettore in un viaggio di morti, vite e rinascite, in un incessante fluire di emozioni che scaturiscono ora come risposta emotiva ad un evento (innescando un dialogo fra il dentro e il fuori del poeta), ora come riflessione esistenziale, in un procedere di immagini telluriche, umane, di memorabili rivisitazioni collettive. La morte la tocchi, la vivi ti travolge solo rarissimamente, te ne allontani, ora con ironico ghigno, ora con un sorriso, ora con la vita piena o nella risoluzione della morte nella vita. (In copertina una sua opera a china: il Mafioso)



Quando ritorno a te

Quando ritorno a te
zucchero e miele il mio cuore,
cicuta e fiele
il colore della partenza.

L’anima s’accende
scorre la luce nel mio viso,
sacco d’euforia che
illumina il mio volto.

Nulla sembra trascendere
all’infuor del mio amore,
nulla trascina con trasgressione
la trasfusione del mio sangue.

Se l’ozio rammollisce lo spirito,
la distanza da te non diminuisce
e non sminuisce il tracimar
della pentola calda del mio cuore.
Ho fame di te e
i miei germogli teneri di un di
oramai fugaci tralci di vecchio fusto
rinverdiscono accanto al tuo profumo.

Spazio, tempo e lontananza
non causarono vuoti di memoria e
tu rimani sempre verde spazio
e musa che trasfonde l’entusiasmo.

L’amore di figliol prodigo,
io sento oramai da tanto tempo,
sconfitto traditore,
salpato per altri lidi.

Avido non fu il forzato asilo,
lungi da me il pensiero
di un mio ritorno e sanguinano ancor
i trascorsi commessi in gioventù.

Sento che come un cuore tenero,
di antica frescura, scatta la mia fame
per i tuoi dolci e vetusti frutti,
sete del tuo mare.

Voglio la tua terra
accanto a me nel lungo sonno,
voglio farti dono dei miei scritti e
fuoco dell’eterno a ricordo di me, della mia povera arte.




Uno scorcio di piazza Mokarta



Mokarta, il principe guerriero

Occhi che mi guardano sorpresi.
Occhi celesti, profondi come il mare.
Sguardi incuneati come polvere
nella carne viva, inattaccabili,
bruciati dal sole nel vivere lontano.
Sento passi che ritmano lesti
in uno scandir inno di morte.

Un uomo cupo si affaccia gigante
nell’angolo, in una via deserta
della Kasbah, quartier un dì fiorente
di una Mazara antica.
Segni d’acqua piovana
freschi sulle mura,
vento di scirocco sopra i tetti.

Nero di un nero d’avorio,
privo di chioma, bianchi denti splendenti,
ghigno infuriato, muscoli tesi,
l’aria di un cupo profondo
si sente il respiro affannoso
come gocce di rugiada cadere.
Brandir, volteggiar la scimitarra.

Mi appare e m’imbatto,
lungi da me il pensiero,
m’inoltro tra sangue sceso a fiume,
Sotto i suoi piedi scalzi
giunchi fradici e secchi,
rami di palme unti,
fondigli sediziosi.

Muoiono i rintocchi delle chiese antistanti,
l’adhan e le voci del Muizzin
dall’alto del minareto volto
a chiamar i fedeli alla preghiera.
Mokarta il musulmano,
il principe guerriero.





Lungo il Mazaro

Lungo il Mazaro che
cresce d’acqua all’improvviso
cammino mentre solchi profondi
si aprono correndo dietro l’angolo,
in un gioco d’attesa silenzioso,
acre di sudore appiccicoso
per rivedere con gli occhi stanchi,
illuso me “lu carru mattu”.

Viso d’argilla segnato dal tempo,
come prugna seccata al sole,
“lu carritteri” assonnato tiene
per il guinzaglio il mulo che sveglio
già all’alba scuote la grigia folta criniera
sfidando le calde sferzate di scirocco e
lo sforzo per il carico di pesce e
ghiaccio a lastre.

Mi seggo stanco,
le rive folte dei canneti cerco l’ombra
tra le rocce, ma tu, tutto te stesso, la tua forza,
fedele compagno metti come un servo innamorato
per trasportar i carichi pregiati
dalle barche al mercato o
nei freddi ricolmi “magaseni”
degli indaffarati “rigatteri”.

Mi fermo, lucido lo sguardo,
sotto il viso calpestato a pianto
mi appare ferma la “chiatta” ad aspettare
uomini api, donne farfalle, piccoli bruchi.
Uno, due passi ancor e giaccio
in mezzo al Mazaro con il suo carico,
persone indaffarate lungo la fune
tirar forti le mani al prossimo guado.

La statua di tufo rovinato
dalla salsedine riverente ed impietosita
dagli strali caldi di sabbia e
dall’inclemente vento di scirocco
viene fuori all’improvviso,
mi mostra le braccia alzate
croce e libro nelle mani e ai piedi a cuccia i cani,
occhi d’amore a scudo protettivo.

I figli prediletti a riparar
dai terremoti, maremoti, flagelli e pestilenze
San Vito, figlio cittadino
di una terra seminata di fresche
salate e dolci acque, rocce di mare
e di bianche spiagge.
Fratello Vito la tua terra ricordalo
è anche la mia.

Mi alzo e pur se stanco rinuncio al riposo,
a pacar la sete e danzo pe me e per Te
lungo le vie del gelsomino e salsedine
e spiano con lunghi passi gli stretti
bei vicoli antichi odor, sali di vita
per stuzzicar l’anima
per sollevar la mente
per rinverdir i ricordi.






Mi taliu a lu specchiu

Mi taliu a lu specchiu haju lu vistitu di sempri,
sciami di pinzeri culuri senza vita,
nivuri passanu la menti, li vuredda ‘nturciuniati,
sempri lu stessu, stessu culuri, stessa furma
nenti è canciatu, mi nni vaiu a ”la marina”
centru di vita e cultùra di tant’anni.

M’impressionu chi nenti è canciatu,
tuttu lu stessu a primu acchittu, stessu omu,
stessa facci, stessi passi, stessi chistiani,
stessi strati, stessi casi di cantuna bassa,
l’aria di lu mari sempri di salamastru ‘ncivuriato ,
di frischura e arica.

Passu lu ponti supra lu ciumi Mazaru, ca sta terra vagna,
sutta lu ponti, mentri lu ciumi adàciu adàciu avanza,
l’acqui lippusi, ‘na vota virdi,
comu l’occhi virdi di Circe ammaliatura,
ora mi talianu angustiati, astutati, niuri,
‘nu ci piaciunu li smanciarii.

Arrivu a lu portu ‘na vota ridenti e ‘ranni,
omini, picciriddri, vecchi comu balaustri,
chinu di varchi e varcuzzi di tutti li culura,
chistiani ‘npostanu comu li furmicula,
acchiananu robba, cosi di manciari,
rizza, ghiacciu a pezza, casci pi li pisci.

Mazara cu li soi anni, portu sicuru, stritti li strati,
larghi li cori, autu e ranni l’animu,
chistiani pronti ad affruntari lu mari e li timpesti
mi pari di viriri Nino, Ignazio e Pietro,
l’amici di quannu eramu picciotti, persi ‘ta lu mari,
darrèri l’angulu di Chiazza Rigina pi ‘n salutu rarimi la manu.

Via Garibaldi tanti li taliati e riordi,
scarpi finu a lassari li pidati ‘na la strata,
incontri pi càsu, primi amuri, facci russi affruntusi,
matinati e sirati a mai finiri, tuttu pari ajèri,
l’Arcu Normannu m’arricanusci e ‘na la so panza pari mi voli
comu fignu prolicu a lu ritornu.

La Kasbah, viu arrèri li so vii e stratuzzi,
li so culura, li so d’arabi formi,
li chistiani mi talianu rirennu e mi sentu ‘n omu a la vicchiaia,
vivu, sanu, sucari l’aria comu a li minni di la matri,
comu ‘n picciriddru chi suca ‘ta la matri cità nativa,
tuttu mi pari veru, ma tuttu è minzògna.

Pubblicazione del 2020





lunedì 28 gennaio 2008

Poesia dedicata al Satiro





Note: il poeta, ha frequentato negli anni Settanta una delle classi di Scuola Media, ubicate nei locali del Seminario vescovile. Da lassù era spettatore di tanti eventi, fra i quali la demolizione del vecchio municipio. Quel periodo ha ispirato il poeta per questa composizione.


sabato 19 gennaio 2008

Inno di Mazara

Và canto pieno di allegria,
dove c’è il sol, il nostro sole d’oc.
Và musica di poesia,
porta con te, sempre con te, l’amor.
Son note ricche d’armonia,
che noi doniam, che noi cantiam a te.
Và canto d’amore, và
Con la felicità che noi sentiamo in cuor
La canzone del tuo mar,
che tutti fa vibrar
di gran passione per te

Mazara del Vallo,
col tuo nobile stemma normanno,
cantiamo, cantiamo,
le tue gesta, la gloria che fu.
Portiamo nel petto
Una fede che buoni ci fa;
là, nel tempio sacro, là,
l’Immacolata sta per noi sempre a vegliar,
c’è San Vito in quell’altar,
che vigila a pregar da Santo Protettor.
Viva Mazara, Mazara del Vallo!


L' inno venne realizzato dal prof. Vittorio Trieste Giarratana su commissione di alcuni emigrati in San Diego di California. I delegati del "Mazara del Vallo Club", tra cui il vice presidente pro tempore Leonardo Ingrande, affidarono il compito di realizzare, dirigere i lavori e sovrintendere all'incisione del brano al musicista nisseno.

Il maestro nacque a Caltanissetta, si laureò al Conservatorio di Musica di Palermo e acquisì un master in pianoforte e violino. Inoltre conseguì una laurea in composizione al Conservatorio di Santa Cecilia in Roma. Laurea ad honorem in Filosofia, Letteratura e Storia all'Università Cattolica di Milano. Ebbe tanti successi professionali e nel 1962 giunse negli Stati Uniti d'America con un contratto con "Metropolitan Opera House"- Successivamente fu direttore del dipartimento operistico dell'università statale di New York, fino a quando non si trasferì presso l'università californiana di Los Angeles.







Tratto da Mazara "Le nostre origini"






sabato 12 gennaio 2008

Messiscena di Rossetto

1969 
Gioco drammatico in tre movimenti di Luigi Burzotta presso il "Teatro 2" di Mazara del Vallo
con Piero Adelendi, Vera Mannone, Maria Pia Sammartano, Salvatore Giacalone e Nicola Cristaldi Regia di Piero Adelendi


"Una compagnia di giovani attori, nel teatro di una piccola città, sta lavorando su un’ipotesi sperimentale per la messinscena dell’opera, tra le più complesse del teatro di Pirandello, “Ciascuno a suo modo”, quando, l’ora solita per la prova, giunge la notizia che uno di loro, durante la notte si è tolto la vita nella casa di campagna, sparandosi un colpo al petto con la doppietta da caccia. Alla costernazione per la sorpresa e al pianto immediato per il dolore della perdita si aggiungono nei giorni seguenti, lo smarrimento di fronte al mistero del movente e lo strazio per i particolari del tragico evento. Giovanni è stato trovato, nella spoglia saletta, riverso su una poltroncina rustica, di fronte a un grosso tavolo con il calcio del fucile ancora incastrato nel suo cassetto. Un po’ discosto, un grammofono girava a vuoto con il braccio sul disco a fine corsa. Il colletto della sua camicia bianca, devastata dallo sparo e intrisa di sangue, presentava, curiosamente, tracce di rossetto.
Dopo alcuni giorni di arresto delle prove, pur nel comprensibile sbigottimento i giovani continuando tuttavia a incontrarsi nel teatro, per uscire dalla comprensibile paralisi, l’unico estraneo alle dinamiche affettive del gruppo, perché aggiunto di recente alla compagnia, il regista venne fuori con una proposta pirandelliana. Sostituire il fatto di cronaca al centro dell’opera che stavano provando, con il fatto di cronaca che loro stessi stavano vivendo e che li interrogava fino alle radici del proprio stesso essere. L’idea era di giocare sulla scena la complessità dei rapporti che animavano i membri del gruppo riguardo al loro comune amico, che aveva costituito l’elemento collante della coesione, l’anello principale, a volte anche l’unico, cui era legato ciascuno degli altri nella compagnia teatrale.
Per dar inizio al nuovo esperimento, bastava fissare alcune regole per il dispositivo, di cui lo stesso regista avrebbe sorvegliato il rispetto. Agire sul palcoscenico senza mai nominarlo, come se un pubblico fosse sempre presente a esigere l’osservanza della finzione scenica. Non fare più alcun cenno al macabro ritrovamento, e tenere presente Giovanni solo per l’incidenza che aveva nei loro reciproci sentimenti. Mimare sul palco e sulla passerella, come in una danza, ogni loro possibile rapporto, in un’azione scenica dalla quale egli stesso si sarebbe astenuto dall’intervenire direttamente. Il suo compito sarebbe stato quello di supporto tecnico per prevenire le esigenze legate alla scena, giovandosi dell’aiuto del custode, che si sarebbe prestato come macchinista, per gestire le luci, la musica,rumori compresi, e approntare quant’altro avrebbe richiesto, secondo il suo giudizio e a ogni momento, l’azione. Questa infine era concordata, preventivamente, solo per sommi capi e senza nemmeno stendere un brogliaccio, lasciando così ogni sviluppo al caso e al dettato dei dialoghi, che sarebbero sorti spontaneamente."

 Salvatore Giacalone, Nicola Cristaldi, Pietro Adelendi



 Pietro Adelendi, Maria Pia Sammartano, Salvatore Giacalone


Maria Pia sammartano, Vera Mannone, Salvatore Giacalone, Nicola Cristaldi

Queste foto sono immagini relative a quel lavoro teatrale. Pur non essendo di buona qualità fotografica rappresentano, comunque, una documentazione visiva delle proposte giovanili di quell'epoca, ricca di fermenti culturali. 

mercoledì 9 gennaio 2008

San Giovanni decollato

Trama: Mastro Agostino Miciacio è un portiere e ciabattino napoletano che venera un dipinto raffigurante un'immagine di San Giovanni Battista decollato. Agostino ha l'abitudine di parlare con l'immagine sacra e di tenere acceso un lumino a olio presso l'immagine stessa in segno di devozione. Ogni notte però l'olio sparisce. La devozione del portiere è tale da spingerlo a fare anche dei festeggiamenti che per la loro rumorosità gli tirano addosso le ire dei vicini e della sua famiglia; viene processato e poi assolto per semi-infermità mentale.
Il guappo Don Peppino vorrebbe imporre ad Agostino le nozze fra Serafina, figlia di quest'ultimo, e Orazio, un lampionaio suo protetto: ma Serafina rifiuta categoricamente e assieme al suo innamorato, un giovane studente, fugge dai nonni di lui nel paese di Montebello Siculo, in Sicilia. Li raggiungeranno Agostino con la moglie Concetta e sarà proprio durante le nozze dei due giovani che Agostino scaccerà Don Peppino riuscendo anche a scoprire che era proprio lui il ladro di olio del lumino di San Giovanni che lui aveva preso a calci. La famiglia è finalmente riappacificata e riunita sotto l'immagine del Santo, che arriva al punto di accordare ad Agostino, sia pure temporaneamente, la "grazia" di rendere muta la petulante Concetta.
Autore
Luigi Pirandello (1867/1937)

I giovani liceali dopo le esperienze teatrali delle commedie di fine anno, spesso costituivano delle piccole compagnie amatoriali che duravano, ad onor del vero davvero poco, perchè gli impegni universitari (di solito) impedivano il proseguimento di tali attività. Ma per un certo periodo realizzavano piccoli capolavori della volontà. In questo caso il regista, primo attore ed animatore fu Pietro Adelendi, ottimo dilettante che avrebbe potuto certamente, seguendo la sua vena artistica, raggiungere ottimi risultanti. Ma aimè anche lui svanì come neve al Sole.

1964 - Teatro Luigi Vaccara - Commedia "San Giovanni decollato"
Pietro Adelendi - Cocò Di Giovanni

Commedia "La patente"

Mario Adelendi, Cocò Di Giovanni, Salvatore Di Giovanni, Pietro Adelendi, Pippo Norrito, Anna Ditta

martedì 8 gennaio 2008

Commedie realizzate da gruppi di appassionati

Forti dell'esperienza maturata nella realizzazione delle commedie di fine anno, alcuni studenti continuarono ad organizzarsi in piccole Associazioni Culturali al fine di proporre un teatro amatoriale che, ad onor del vero, non raggiunse mai grandi livelli. Da allora sino ai giorni nostri questa lodevole ma poco professionale attività si arrampica sugli specchi e continua ad essere prodotta da volenterosi ma poco professionali amanti del teatro. Non si è mai riusciti a realizzare una vera, anche modesta, scuola di Teatro. In passato qualche timido tentativo fu fatto dal regista mazarese Sammartano, che tenne dei seminari, ma tutto si esaurì in breve tempo. Per cui gli spettacoli proposti hanno sempre un sapore "goliardico".

Giovanni Serra, Salvatore Giacalone

Altra Commedia
L'attore regista Salvatore Giacalone


Salvatore Giacalone, durante le prove, con Gianni Casale e Mariassunta Librtucci


Maria Assunta Libertucci, Salvatore Giacalone


Salvatore Giacalone, Gianni Casale, Girolamo Cristaldi


Nicola Cristaldi, Gianni Casale


Nicola Cristaldi, Salvatore Giacalone


Nicola Cristaldi


Salvatore Giacalone, Mariassunta Libertucci, Rossella Sansone, Nicola Cristaldi


Mariassunta Libertucci, Salvatore Giacalone