Io ne ricordo altre tra cui: quella del sig. Quinci (Bagaruni) in via ten. Gaspare Romano. Quella del palermitano Costamante all'angolo tra la via Luigi Vaccara e via Emanuele Sansone (dove oggi sorge la Banca coop. Don Rizzo) in seguito acquistata dall'armatore Nicola Asaro (Cardedda), che gestiva assieme ai figli, e quella in fondo alla via Luigi Vaccara dei fratelli Asaro (Batarollo).
Fabbricare del buon ghiaccio non era semplice: esso doveva essere compatto e poco fragile, cristallino e non opaco. Il prezzo, infatti, variava in base alla qualità prodotta. Innanzitutto era importante la qualità delle acque utilizzate, le quali potevano contenere sali che contribuivano a determinare un rallentamento della congelazione (sali di sodio e di potassio), fragilità (bicarbonato di sodio), opacità (solfato di sodio), aspetto gelatinoso (ossidi di silicio ed alluminio), colorazione rosa (ossidi di ferro) o giallo fangoso (sostanze organiche). Per questo la migliore materia prima è stata sempre la neve (che da noi non c'era) e l'acqua depurata dai sali in eccesso o distillata.
Importante era poi la fase di congelamento, bisognava procedere dalla parte esterna a quella interna, la diversa temperatura nei singoli strati determinava dilatazioni differenziate che producevano tensioni e talvolta fenditure. Era quindi necessaria un'uniforme distribuzione del freddo e la gradualità dell'abbassamento della temperatura, oltre l'agitazione dell'acqua per eliminare l'aria, principale responsabile dell'opacità. Delicata era anche l'estrazione ed il trasporto dei blocchi di ghiaccio, in quanto il passaggio repentino ad una temperatura più alta provoca rotture tra strati esterni ed interni.